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I montanari delle valli dell'Appennino parmense-piacentino portano in Francia i nuovi mestieri

Quando fece costruire i belli edifici di Parigi, il barone Haussmann aveva pensato a tutto, e ovviamente anche al modo di scaldare questi appartamenti. Una sala caldaia condivisa si trovava nello scantinato e le caldaie a carbone diffondevano l’aria calda in tutti gli appartamenti. In genere, l’aria arrivava direttamente dai condotti installati nel pavimento o nei muri. In quei casi, si trattava di caldaie ad aria calda. A Parigi ce ne sono ancora, ma pochissime.

Detto questo, serviva pure che qualcuno si occupasse di mettere il carbone nelle caldaie per far funzionare l’ingegnoso sistema. Bisognava spalare il carbone dal deposito affianco e riempire la caldaia. Bisognava anche tirar fuori le ceneri dopo la combustione e portare su i secchi pesantissimi dallo scantinato al marciapiede per gli spazzini. Tutto ciò implicava di arrivare alla sala caldaia dell’edificio molto presto, all’alba, affinché i residenti avessero acqua calda e calore al risveglio. Infine, bisognava tornare il pomeriggio per garantire un servizio praticamente ventiquattrore su ventiquattro, soprattutto nei mesi invernali. In quell’epoca, il Comune di Parigi stabiliva il periodo di riscaldamento che iniziava il 15 ottobre e finiva il 15 aprile, giorno in cui si spegneva tutto.

Tra il 1930 e il 1935, nelle fattorie dell’appennino emiliano, nel Nord Italia, tra Parma e Piacenza, la vita era molto dura e allora gli uomini decisero di tentare il viaggio verso la Francia. Erano di Boccolo, di Groppallo, di Morfasso… e a loro spettò il compito di scaldare i bei edifici del barone Haussmann.


Fonte: Valcenostoria.it

 

 

I Comuni dai quali proviene la maggior parte degli scaldini sono Bardi e Bedonia, in provincia di Parma; Bobbio, Bettola, Farini d'Olmo, Ferriere, Morfasso, Vernasca, Gropparello, in provincia di Piacenza.

All'inizio, cioè verso la metà del secolo scorso, prima dell'unità d'Italia, si tratta di una migrazione temporanea quasi nomade, che finisce per trovare inserimento marginale e precario nel mondo del lavoro. Solo dopo la prima guerra mondiale l'emigrazione assume un carattere familiare e definitivo, oltre che numericamente rilevante.

Il caso degli scaldini è singolare in quanto la loro emigrazione è sempre funzionale al mantenimento della comunità originaria e in particolare a quello della piccola proprietà, che risulta rafforzata dalla pratica dell'endogamia e dal mantenimento della famiglia patriarcale. 

Una gran parte dell'emigrazione in Francia è legata ai mutamenti verificatisi dalla prima guerra mondiale in poi, con l'urbanizzazione massiccia e la modernizzazione immobiliare per quanto riguarda il riscaldamento domestico.

Fino a quel momento i parigini avevano continuato a riscaldarsi con i camini individuali, con i bracieri, con le stufe a legna e a carbone. La comparsa del sistema di riscaldamento centralizzato porta quindi, accanto alle figure tradizionali dei boscaioli, dei carbonai e degli spazzacamini, i nuovi mestieri degli "chauffagistes", tra i quali appunto gli scaldini, rimasti però quasi del tutto sconosciuti ai parigini.

Il mestiere di "scaldino" consiste nel riempire le caldaie a carbone per 6 mesi all'anno (dal 15 ottobre al 15 maggio generalmente) e viene apprezzato dai montanari delle valli dell'Appennino parmense-piacentino perché si tratta di un lavoro stagionale che permette di rientrare periodicamente al proprio paese.

L’avvicendamento familiare nella professione fa sì che i Paesi d'origine non si spopolino come avveniva invece in altri luoghi (Ferriere o la Lunigiana) a causa di una emigrazione non stagionale. Con il declino della categoria gli scaldini si sono insediati stabilmente in Francia riciclandosi in altri settori lavorativi e ritornando solo per le vacanze. Comincia cosi, attorno agli anni '60 un declino demografico irreversibile delle valli.

Tra i cognomi più ricorrenti di scaldini troviamo Basini, Groppelli, Solari, Casali, Cavazzuti, Cappelli, Cavanna: in tutto circa 16 famiglie che ebbero per così dire il monopolio della professione.


Fonte: testo tratto dalla pubblicazione "Lo sguardo altrove..." a cura di Renzo Bonoli e Rocchino Mangeri che accompagna la mostra "Cento anni di emigrazione emiliano-romagnola tra storia e memoria", realizzata con il contributo della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo

 

Approfondimento

Leggi sul sito dell'"Archivio Storico dell'Emigrazione Italiana" la ricerca di Maurizio Catani: "Gli scaldini di Parigi"

Breve estratto dalla Premessa del Prof. S. Palidda

Nel corso di una ricerca sugli emigrati dell’Emilia-Romagna in Francia, nel 1983, abbiamo scoperto una particolare categoria di immigrati a Parigi: gli scaldini. Il nome “scaldini”, forgiato da loro stessi, viene da scaldare per riscaldarsi. Provenienti da alcuni comuni dell’Appennino parmense e piacentino, per almeno tre generazioni, gli scaldini hanno fatto funzionare le caldaie a carbone che a Parigi riscaldavano condomini privati, edifici pubblici quali ministeri, sedi comunali, scuole, ospedali, case popolari, metrò, alcune aziende e le chiese. Il caso di Notre-Dame è esemplare. 

Prima versione pubblicata in francese nella rivista Terrain, n° 7 ottobre 1986: http://terrain.revues.org/document2907.html

 

Leggi sul sito "Valcenostoria.it" l'articolo "Emigrazione dall’Appennino a Parigi. Anno 1964. Il famoso giornalista Silvio Bertoldi alla scoperta della “Regina di Bardi e gli scaldini”

 

Sul sito Valcenostoria.it: "Gli scaldini di Parigi nel testo storico-biografico di Marguerite Fulgoni Cavanna"

 

Leggi su MIGRER la storia "A tavola con gli scaldini"

 

Catalogo mostra - Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra XVI e XX secolo

Mostra storico documentaria, a cura di Mario Palazzino, Antonella Barazzoni, Valentina Bocchi, Lucia Togninelli. La mostra intende concorrere alla riflessione su un fenomeno che ha una rilevanza storica notevole; la sua importanza è facilmente riscontrabile a partire dal numero delle persone coinvolte direttamente: dal 1876 al 1976 hanno lasciato il suolo patrio 27 milioni di italiani. La mostra è un rincorrersi di casi individuali, di situazioni familiari, di vicende di comunità locali, di questioni più generali. Le carte esposte coprono un arco cronologico di oltre 5 secoli, dal 1545 al 1973, e trattano sia questioni relative al parmense sia questioni di respiro nazionale, queste ultime a partire dalla fine dell’Ottocento fino ai primi anni Settanta del secolo scorso.

TESTIMONIANZE E PERSONAGGI