I gessini di Rocca di Ferriere

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La parrocchia di Rocca, situata sul versante orientale dell'alta Val Nure, nel Comune di Ferriere, è stata teatro di una cospicua emigrazione (un centinaio di famiglie) verso la Francia, regione di Parigi

Si trattava di una società tipicamente montanara, racchiusa nello spazio di pochi caseggiati e fortemente coesa, che diede vita ad una emigrazione di tipo familiare e paesano, all'inizio temporanea e provvisoria (verso la fine del secolo scorso) poi, dagli anni '30, sempre più definitiva, tanto che le famiglie residenti nei Comuni della regione parigina divennero più numerose di quelle rimaste al Paese.
Fino alla prima guerra mondiale si emigrava in Francia con il solo passaporto rilasciato dal Municipio di Ferriere, senza il contratto di lavoro che dal 1920 però divenne indispensabile.

Accanto alle mondariso e ai segantini questa emigrazione temporanea coinvolse soprattutto i "gessini", che si tramandavano il mestiere di padre in figlio e che, dopo aver imparato come garzoni a costruire i primi raccordi in gesso, diventavano poi a poco a poco "compagnons" (specialisti), poi capomastri e quindi piccoli imprenditori.
Il viaggio iniziava alla fine dell'inverno o in primavera con l'obiettivo di arrivare a Parigi per la ripresa del lavoro nell'edilizia.
Avveniva a volte in carrozza, a volte a piedi come accadde a Maria Belloni che parti da Rocca a piedi con i bambini e, mendicando di fattoria in fattoria, arrivò a Noget sur Marne (Parigi) dal marito dopo 52 giorni.
A Parigi, essenzialmente nel 12° "arrondissement" e nella periferia est (Nogent, Fontenay sous Bois e Bagnolet), venivano accolti dai compaesani che procuravano loro un alloggio per i primi tempi.
Alcuni si trasferirono a Saint-Quentin nel nord est della Francia, per lavori di ricostruzione dopo la prima guerra mondiale, ma la maggior parte dei rocchesi si stabilì a Parigi. I luoghi d'incontro erano i bar ed i ristoranti dei piacentini: famoso è rimasto il Caffe all’angolo tra rue de Charenton e la Cité Monet dove ci si ritrovava per mangiare, giocare alle carte o alla morra, chiacchierare, ricordare.


Fonte: testo tratto dalla pubblicazione "Lo sguardo altrove..." a cura di Renzo Bonoli e Rocchino Mangeri che accompagna la mostra "Cento anni di emigrazione emiliano-romagnola tra storia e memoria", realizzata con il contributo della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo

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