La colonizzazione di Resende in Brasile

FROM
TO
"Nell'anno 1874 certa Clementina Tavernari di Concordia di Modena, fece ritorno dal lontano Brasile, allora Impero dell'America del Sud, con l'incarico di arruolare 50 famiglie di agricoltori dall'alta Italia allo scopo di fondare, nella Provincia di Santa Catarina, un nucleo coloniale intitolato al nome di Sua Maestà l'Imperatrice Maria Teresa Cristina, che sarebbe servito come primo saggio di colonizzazione italiana in Brasile"

Inizia con queste parole il diario di Enrico Secchi, pure lui di Concordia, insegnante di scuola, che ebbe l'incarico di accompagnare in questa avventura la signora Tavernari, conosciuta in Brasile come Madama Adelina Malavazi, implicata nei moti del 1848 e costretta, perché appartenente alla Massoneria, a riparare prima in Svizzera e poi in Brasile, con tale Alfonso Malavazi, bravissimo musicista, maestro di flauto.

Quando ritornò appunto a Concordia la signora aprì un ufficio per raccogliere le iscrizioni di coloro che volevano partire per il
Brasile e in pochi giorni centinaia di famiglie provenienti dalle zone di Mantova, Modena, Ferrara, Parma e Reggio Emilia aderirono a questo invito.

Mentre in un primo tempo le Autorità - il Sindaco e il Ministero dell'Interno - fecero di tutto per impedire l'avvio di questo flusso migratorio, a fine novembre del 1874, a seguito dell' intervento decisivo dell'on. De Sterlitz che si impegnò ad offrire le opportune garanzie per la copertura delle eventuali spese di ritorno in Patria degli emigrati, i Prefetti ricevettero l'ordine di rilasciare i passaporti richiesti per le prime 50 famiglie.

Il 3 dicembre queste si riunirono a Modena, nella "Locanda della Rondine" in Piazza Castello per organizzare nel dettaglio la partenza. Nevicava intensamente quando la mattina successiva il gruppo si avviò in treno a Genova da dove, dopo alcune settimane di attesa, la nave "Anna Pizzorno", un quattro alberi attrezzato per il trasporto di emigranti stipati in due grandi stanzoni dormitori, uno per gli uomini e uno per le donne, salpò a vele spiegate verso il Brasile con 600 passeggeri.

Addio Lanterna di Genova, addio Italia!! Forse per sempre!!

Il 15 febbraio 1875, dopo un viaggio tormentato affrontato in condizioni sanitarie molto precarie e dopo aver superato tremende avversità, la nave arrivò davanti a Cabo Frio e alla vista della terra promessa si levò un grido:

"Ades sì ca sem in Merica !!! Viva il Brasilio!!"

Il pomeriggio del giorno successivo le 50 famiglie destinate a Santa Catarina, dopo le visite sanitarie e le ispezioni doganali furono sbarcate e sistemate nella "Ospedaria degli Immigranti" e l'indomani proseguirono per Paranaguà. Dopo alcuni giorni il gruppo arrivò alla stazione della Divisa (ora Floriano) e di qui alla Colonia. Le 50 famiglie furono accomodate in alcune camerette e rifocillate con pane, riso, fagioli e carne e fu distribuito loro un salario di 500 reis al giorno per 3 mesi che, al cambio di quel tempo, equivalevano a 1,25 lire italiane giornaliere.

La signora Malavazi di tanto in tanto andava a Rio de Janeiro per incontrare Sua Maestà I'Imperatrice per concordare il trasferimento delle famiglie nella Provincia di Santa Catarina, ma a causa del diffondersi della febbre gialla fu deciso di lasciare le
famiglie a Porto Real. In aprile anche la signora Malavazi fu colpita dal male e di lì a pochi giorni mori.

Gli emigrati a questo punto si sistemarono nella Colonia e maturarono il proposito di restare stante le buone condizioni climatiche, la vicinanza con la ferrovia e le buone relazioni instaurate con gli altri abitanti della zona.

"I coloni lavoravano tranquilli nei lotti piantando canna da zucchero che, più tardi, sarebbe stata trasformata in "Aguardiente" (grappa) in attesa che il Governo o qualche Compagnia privata montasse uno zuccherificio. Cosi - prosegue il diario di Arrigo Secchi - passarono mesi e la canna era giunta a maturazione e si sarebbe perduto il raccolto se non si fossero inoltrate domande di intervento dai nostri coloni e da quelli di altre nazionalità all'amministrazione della Colonia. Con tutta sollecitudine, arrivò un ingegnere di Rio, il quale, in fretta e furia, impiantò un macchinario proprio per la fabbricazione dell'Aguardiente. Si costruì un baraccone coperto con grandi tegole di zinco sotto il quale si montarono i torchi, alambicchi e grandi tinozze per far fermentare il mosto della canna e rispettive botti da riempire di aguardiente e cosi si potè salvare buona parte del raccolto della canna che gia cominciava a seccare."

La Colonia di Porto Real - Resende, per la sua vicinanza alla Capitale (200 Km di ferrovia) cominciò ad essere visitata dalle Autorità (Ministri, Ambasciatori, Imperatore, ecc.). In quel tempo si formò una Compagnia a Rio de Janeiro, la Paile Finc, per la lavorazione della manioca e della patata dolce da si estraeva un cognac facilmente commercializzabile. Ma siccome non c'erano grandi piantagioni di manioca e di patata dolce, bensì piantagioni, in grande scala, di canna da zucchero, si abbandonò la fabbricazione del cognac e della fecola, si ampliò l'edificio che stava sulla riva destra del fiume Paraiba, riducendolo a un grande zuccherificio col titolo di Engenho Central de Porto Real, ancora esistente.

Successivamente I'Imperatore emancipò la Colonia di Porto Real e affido la concessione del suo sfruttamento alla Compagnia "Uniao Agricola". 

Nel 1887 la vita della Colonia, procedeva in modo soddisfacente e i coloni lavoravano nella speranza di divenire presto proprietari del lotto di terreno loro assegnato. La maggior parte dei lotti scelti si trovava nella parte pianeggiante della Colonia, particolarmente adatta per la coltivazione dei cereali e della canna da zucchero e i coloni una volta in possesso dei lotti si impegnarono per il buon andamento del raccolto. Ma una forte marea inondò tutte le coltivazioni. Le acque invasero le
case coloniche e fu un miracolo se si potè salvare la vita di quelli che le abitavano. Vi fu un grande panico e uno sconforto tale che
molta gente abbandonò la Colonia: chi andò verso San Paolo, chi, con molti sacrifici e stenti, ritornò di nuovo a Rio de Janeiro,
all'Ospedaria degli Immigrati e di là spediti, dal Governo Imperiale, in Minas Gerais.


Fonte: testo tratto dalla pubblicazione "Lo sguardo altrove..." a cura di Renzo Bonoli e Rocchino Mangeri che accompagna la mostra "Cento anni di emigrazione emiliano-romagnola tra storia e memoria", realizzata con il contributo della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo

scaldini foto

 

 

 

Approfondimenti

TESTIMONIANZE E PERSONAGGI